martedì 12 luglio 2011

La montagna incantata

Siamo sani, siamo malati, conosciamo i misteri del corpo nella luce scialba delle radiografie, abbiamo di fronte la morte, sentiamo il tempo, partecipiamo della sventata illusione di affidare allo spazio quotidiano la nostra immortalità.
E’ questa la prova iniziatica: affondare con sguardo sacrilego nei misteri del corpo.
Ogni interessamento alla morte e alla malattia non è che un modo di esprimere l’interessamento alla vita?!
La sconsideratezza della morte è nella vita, senza di essa, la vita non sarebbe vita!
Figli e nipoti osservano per ammirare, ammirano per imparare e sviluppare ciò che in loro è preformato per via ereditaria.
L’uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma- cosciente o incosciente-, anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall’idea di volerli criticare, è pur sempre possibile che senta vagamente compromesso dai loro difetti il proprio benessere morale.
La “tragedia” comincia, dove la natura fu crudele al punto da spezzare l’armonia della persona … o da renderla impossibile fin da principio, legando uno spirito nobile e desideroso di vivere a un corpo non idoneo alla vita.
Stimo e amo la parola, il sostrato dello spirito; lo strumento, il lucido vomere del progresso.
Castorp non si curava di giustificare spiritualmente le sue sensazioni o addirittura di darne all’occorrenza una definizione. In primo luogo non c’era alcuna necessità di dar loro un nome. Un nome è, se non una critica, almeno una determinazione, cioè l’inserimento in un mondo noto e consueto, mentre Castorp possedeva l’inconscia convinzione che un bene interiore come questo doveva essere preservato una volta per sempre da siffatta determinazione e collocazione.
La malattia rende l’uomo più corporeo, lo fa tutto corpo?!
Il precoce e ripetuto contatto con la morte crea un fondamentale stato d’animo, irritabile e sensibile alla brutalità e crudezza della sventata vita sociale, diciamo pure al suo cinismo.
Non c’è niente di più doloroso che vedere come la nostra parte organica, animale, ci impedisca di servire la ragione.
Esiste un potere, un principio, cui devo la mia più alta affermazione, il mio rispetto, il mio supremo amore, e questo principio è lo spirito. Come detesto che si contrapponga al corpo una sospetta chimera o un fantasma lunare, detto “anima”: entro l’antitesi di corpo e “spirito”, il corpo è il principio maligno, diabolico, perché il corpo è natura, e la natura è cattiva.
Questa è l’ostilità dello spirito contro la natura, la sua superba diffidenza contro di essa, la sua magnanima insistenza sul diritto di criticarla insieme con la sua maligna, e irragionevole potenza. Poiché essa è la potenza, ed è da schiavi accettare la potenza, venire con essa ad accomodamenti “interiori”. Lo spirito di umanità non si rende colpevole di alcuna ricaduta nell’ipocrisia cristiana, quando decide di vedere nel corpo il principio del male dell’avversario (Satana). Per il corpo vale la stessa la cosa: bisogna onorarlo e difenderlo quando si tratta della sua emancipazione e bellezza, della libertà dei sensi, della felicità, del piacere. Lo si deve disprezzare in quanto, come principio della pesantezza e dell’inerzia, si oppone al moto verso la luce; e aborrire poiché rappresenta addirittura il principio della malattia e della morte, in quanto il suo spirito specifico è lo spirito della stortura, della putrefazione, della voluttà e della vergogna.
La vita è soprattutto combustione ossigenata dell’albume cellulare, donde viene il bel calore animale. Eh sì, vivere è morire, non c’è da farsi illusioni ... una destruction organique. Ne ha anche l’odore, la vita. E quando ci s’interessa alla vita, ci s’interessa specialmente alla morte. La vita significa che, nel ricambio della materia, si conserva e rimane la forma.

Che cos’è la vita? Non si sa. Non appena è vita, ha coscienza si sé, ma non sa che cosa sia. La coscienza in quanto sensibilità agli stimoli si desta, fino a un certo punto già negli stadi inferiori. Coscienza di sé è semplicemente una funzione della materia ordinata in modo che possa vivere rafforzata e la funzione si rivolge contro il proprio substrato, diventa l’aspirazione a sondare e spiegare il fenomeno prodotto, aspirazione, piena di speranze e disperata della vita a conoscere se stessa. Uno sforzo di natura per scandagliare e scavare dentro di sé, sforzo vano in fin dei conti, giacché la natura non può risolversi in conoscenza, la vita non può in fondo indagare se stessa!
Che cos’è dunque la vita? E’ calore, il prodotto calorico di una sostanza sostenitrice di forme, una febbre della materia che coinvolge inarrestabile e inarrestabile accompagna il processo di un incessante dissociazione e ricostruzione di molecole d’albumina disposta ad arte. E’ l’essere del non poter essere, di ciò che, in questo complicato e febbrile processo di dissoluzione e di rinnovamento, sta a mala pena, in bilico sul punto dell’essere: non è materia e non è spirito, è qualcosa d’intermedio, un fenomeno su base materiale come l’arcobaleno sopra la cascata e come la fiamma. Benché non materiale, è sensuale fino al piacere e alla nausea, l’impudenza della materia fattasi suscettibile ed eccitabile, la forma impudica dell’essere. E’ il rigoglio, lo sviluppo, la formazione di un turgido composto d’acqua, albumina, sale e grassi, che chiamiamo carne e diventa forma, elevata immagine, bellezza, pur essendo la quintessenza della sensualità e della brama. Questa forma, infatti, e questa bellezza non hanno per base lo spirito. Sono sorrette e sviluppate dalla sostanza destatasi misteriosamente alla voluttà, dalla stessa materia organica che esiste e si corrompe.
Castorp si rendeva conto che questo corpo vitale: che questo io è un’unità di vita d’ordine elevato, ben lontana dalla qualità di quegli esseri semplicissimi come gli organismi monocellulari che si nutrono e persino pensano; un’unità invece costrutta con miriadi di siffatti microrganismi, i quali presero avvio da un solo, si moltiplicarono per scissioni sempre ricorrenti, si ordinarono, sceverarono e svilupparono apposta in diverse  posizioni di servizio e associazioni, ed emisero forme che sono condizione ed effetto della loro crescita.
Il corpo che aveva in mente, essere singolo ed io vivente, era dunque un’enorme moltitudine d’individui che respirano e si nutrono, i quali in seguito all’inquadramento organico e al delineamento del fine particolare hanno perduto il carattere dell’io, la libertà e sono diventati elementi anatomici.
Ci sono rilassamenti di questa pluralità organica, unità a formare l’io elevato, casi nei quali la pluralità dei sottindividui è raccolta soltanto in maniera leggera e problematica nella superiore unità di vita.
L’organismo multicellulare è soltanto una forma fenomenica del processo ciclico nel quale si svolge la vita, cioè un circolo da procreazione a procreazione!
La malattia è la forma impudica della vita. E la vita a sua volta? E’ forse soltanto una malattia infettiva della materia, come generazione spontanea della stessa; è soltanto malattia, un’ esuberanza di stimoli della non-materia? Il primo passo verso il male, verso il piacere e la morte, va indubbiamente collocato nel punto in cui, avviene quel primo aumento di densità dello spirito, quell’esuberanza patologicamente rigogliosa del suo tessuto, la quale costituisce il primissimo gradino della materia, la transizione dalla non-materia alla materia. Questo è il peccato originale. La seconda generazione spontanea, la nascita dell’organismo dall’inorganico, non è che una brutta salita della corporeità alla coscienza.
La vita non è che un passo successivo sul bizzarro sentiero dello spirito ormai disonesto, un riflesso di vergognoso calore della materia destata alla sensibilità e disposta ad accogliere quello che l’ha destata!
E’ notevole. L’uomo non fa mai un’osservazione universale, un po’ studiata, senza tradirsi del tutto, senza metterci inavvertitamente tutto il suo io e presentare in qualche modo simbolico il tema fondamentale e il primo problema della sua vita!
A che servirebbe la politica se non a offrire reciproche occasioni di compromettersi moralmente?!
Si crede nell’avvento della guerra quando non la si aborre abbastanza.
Ogni moto è circolare, nello spazio e nel tempo: ce lo insegnano la legge della conservazione della materia e quella della periodicità. Dato il moto chiuso senza direzione costante, come si fa a parlare di progresso?
Libertà è la legge dell’amore del prossimo!
Vero è ciò che giova all’uomo. Esso riassume la natura, in tutta la natura egli solo è creato e la natura è creata soltanto per lui. Egli è la misura delle cose e la sua salvezza, il criterio della verità. Una conoscenza teorica, che non abbia alcuna relazione pratica con l’idea della salvezza umana, è così poco interessante che è necessario negarle ogni valore di verità e non ammetterla.
La malattia è quanto mai umana, poiché essere uomo, significa esser malato. Vero è che l’uomo è essenzialmente malato, il fatto di essere malato lo rende uomo, e chi lo volesse sanare e indurlo a fare la pace con la natura con la natura, a “ritornare alla natura” (mentre non è mai stato naturale) tutti quei rigeneratori, naturisti che si danno aria di profeti, questi Rosseau, dunque non aspirano che a disumanizzarlo, ad abbrutirlo. Ciò che distingue l’uomo – questo essere massimamente antitetico- da tutto il resto della vita organica, è lo spirito. Nello spirito dunque, nella malattia consiste la dignità dell’uomo, consiste la sua nobiltà; in poche parole, egli è tanto più uomo quanto più è malato, e il genio della malattia è più umano di quello della salute.
Per rispetto alla bontà e all’amore l’uomo ha l’obbligo di non concedere alla morte il dominio sui propri pensieri.
E’ lo spirito a suscitare la comprensione di tutto ciò che è umano, smorzare e abolire convinzioni e sciocchi giudizi di valore e a nobilitare, moralizzare, migliorare il genere umano!
I dotti del medioevo pretendevano di sapere che il tempo è un’illusione, il suo decorso in causa e conseguenza nient’altro che il risultato di un congegno dei nostri sensi, il vero essere delle cose un “adesso” fisso.
D’altronde, perdersi e perire è più morale che conservarsi?!
Può essere peccato … e indizio d’insufficienza … farsi schiavi della raffinatezza senza tener conto dei semplici e naturali doni della vita, che sono grandi e sacri!
E’ una questione di statura. Non si può chiamare vizio ciò che ha una statura. Il vizio non ha mai una statura; ma fin dai tempi primordiali la tendenza umana al sentimento possiede un mezzo, un rimedio eccitante e inebriante che fa parte, dei classici doni della vita ed è di natura semplice e sacra, un rimedio di grande statura, cioè divino, un dono che il Cielo ha fatto agli uomini, la filantropica invenzione di un dio che accompagna persino la civiltà.
Il nostro sentimento, è la forza virile che sveglia la vita. La vita è addormentata, vuol essere destata per le ebbre nozze col divino sentimento. Poiché il sentimento è divino. L’uomo è divino in quanto sente, egli è il sentimento di Dio. Dio lo creò per sentire mediante lui. L’uomo non è che l’organo mediante il quale Dio celebra le sue nozze con la vita svegliata e inebriata. Se l’uomo vien meno nel sentimento, si scatena l’onta di Dio, una catastrofe cosmica.

La vita è desiderio, e il desiderio è vita, e non può andare contro se stesso, ecco la trappola maledetta. Ci sono svariate torture, e chi è messo alla tortura, se ne vuole liberare e questa è la sua meta. Dalla tortura del desiderio carnale si cerca di liberarsi in un unico modo: a condizione che sia appagato. Così è congegnata questa istituzione, ecco la schifosa trappola del diavolo!
Oh, è potente la magia dell’anima! Noi tutti siamo figli suoi, e grandi cose possiamo compiere sulla terra se la vogliamo servire; ma il suo figlio migliore deve essere colui che nel superamento di sé consuma la sua vita e muore, sulle labbra la nuova parola dell’amore che non sa ancora pronunciare.
Oscure e lontane regioni dell’anima umana che si definiscono il subcosciente, mentre si farebbe meglio a chiamarle il sopraccosciente, perché da quelle regioni affiora talvolta un magico sapere che supera di molto il cosciente sapere dell’individuo sapere dell’individuo e suggerisce l’idea che tra le regioni più basse e tenebrose dell’anima individuale e un’anima universale onnisciente sussistano comunicazioni e legami. Il territorio del subcosciente, “occulto” secondo il vero e proprio significato della parola, si rivela assai presto anche occulto nel senso più ristretto di essa e costituisce una delle fonti donde sgorgano i fenomeni. Chi nel sintomo organico della malattia scorge un’opera derivante dalla cosciente vita psichica di emozioni represse e isterizzate, riconosce la facoltà creatrice della psiche nel campo materiale.
E quello che chiamiamo lutto è forse non tanto il dolore causato dall’impossibilità di veder ritornare alla vita i nostri morti quanto quello di non poterlo neanche desiderare.

Dissertazione di Naphta
La scienza è una fede come un’altra, soltanto peggiore e più stupida di qualunque altra, e lo stesso vocabolo “scienza” è l’espressione del più sciocco realismo che non si vergogna di prendere o spendere per moneta sonante le immagini più che problematiche degli oggetti riflessi nell’intelletto umano, e di ricavarne il più insulso e sconsolante dogmatismo che si sia mai tentato di far digerire all’umanità. O non è il concetto di un mondo sensibile esistente in e per sé la più ridicola di tutte le auto contraddizioni? La fisica moderna, in quanto dogma, vive esclusivamente del presupposto metafisico che le forme gnoseologiche della nostra mente, spazio, tempo e casualità, nelle quali si svolge il mondo fenomenico, siano condizioni reali, esistenti indipendentemente dalla nostra conoscenza. Spazio, tempo e causalità, in linguaggio monistico: evoluzione, … ecco il dogma centrale della pseudo religione degli atei e liberi pensatori.
L’empirismo! L’etere universale sarebbe esatto?
La dottrina dell’infinità dello spazio e del tempo è certo fondata sull’esperienza, no?
Infatti, presupponendo un po’ di logica, si arriverà a esperienze e risultati allegri col dogma dell’infinità e realtà dello spazio e del tempo: cioè al risultato del nulla, cioè alla comprensione che il realismo è il vero nichilismo. Perché? Per la semplice ragione che il rapporto tra qualsiasi grandezza e l’infinito è uguale a zero. Non ci sono grandezze nell’infinito né durata né mutamento nell’eternità. Nell’infinito spaziale, poiché ogni distanza vi è matematicamente uguale a zero, non ci possono nemmeno essere due punti attigui, men che meno corpi, meno ancora il moto. Da compiangere, quest’umanità, che da una boriosa accolta di numeri inconcludenti si è lasciata sospingere al sentimento della propria nullità e privare della patetica certezza della propria importanza. L’infinito non ha nulla a che fare con la grandezza, né l’eternità con la durata e gli intervalli di tempo, anzi, queste sono addirittura la negazione di quella che chiamiamo natura!
In genere si ha bisogno di essere ricordati a se stessi. Non sempre si è in possesso di sé, la nostra autocoscienza è debole perché le cose nostre non sempre ci sono presenti. Soltanto in momenti di rara chiarezza, di raccoglimento e perspicuità sappiamo veramente chi siamo, e può darsi che questa sia in buona parte l’origine della sorprendente modestia dei grandi uomini: per lo più loro sanno poco di sé, non sono presenti a se stessi e a buon diritto si sentono uomini comuni.
Il Graal è un mistero, ma tale è anche l’umanità: poiché l’uomo stesso è un mistero, e ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano!