lunedì 21 febbraio 2011

Il male

In natura nozioni quali male e bene non hanno alcuna ragion d’essere. Entrambi scaturiscono dai nostri giudizi di valore, che non si confanno assolutamente al mondo naturale.
E’ l’uomo e solo l’uomo che, abituato com’è a dare in continuazione giudizi di valore, proietta più o meno automaticamente le sue categorie sul mondo naturale.
Il male associato al dolore ha come contropartita il bene, consistente nell’assenza di dolore, o meglio nella sua scomparsa, anche se è opinabile considerare il benessere fisico solo come assenza di dolore.
Il nostro sistema nervoso e la nostra mente ci fanno vivere la nostra condizione di base come un’assenza di sensazioni interne, ottenuta tramite una leggera ma continua modificazione della soglia di percezione.
Gli altri esseri umani sono per noi potenziali parenti, se non potenziali <<noi stessi>>, poiché il nostro vissuto interiore ci fa toccare con mano che cosa voglia dire soffrire e perdere la speranza; aiutando gli altri aiutiamo noi stessi.
Un’emozione è un movimento somatico interno scatenato da qualcosa di visto, sentito o anche solo pensato.
L’emozione è parte di uno schema comportamentale innato finalizzato alla gestione ottimale dell’esistenza di un organismo.
La nostra psiche è costantemente immersa in un <<bagno emozionale>>.Ciò è dovuto a diversi fattori. In primo luogo, la vastità del nostro mondo interiore, creato e mantenuto dalla grande capacità della nostra memoria.
Quello che inseguiamo di fatto, è il piacere che ci deriva dal soddisfacimento dei bisogni e l’astuzia del nostro corpo è proprio quella di proporci degli obiettivi piacevoli per raggiungere scopi ben più profondi.
Le carenze biologiche fondamentali creano bisogni, che vengono percepiti come motivazioni che guidano il nostro agire e che rispondono ai condizionamenti più diversi. Tutte insieme, le motivazioni forniscono la spinta interna al nostro io secondo una trama che la nostra vita emotiva trasforma poi definitivamente in un disegno.
Non si può vivere senza farsi trapassare, a talvolta trafiggere, dalla vita. La sopravvivenza senza un profondo coinvolgimento non è di questo mondo.
Nel mondo reale nessun fenomeno ha mai una causa unica. Esistono sempre un certo numero di condizioni predisponenti la cui combinazione porta all’evento in questione.
E’ bene chiarire che dire che un fenomeno avviene per caso non significa sostenere che non abbia una causa, ma semmai che ne abbia troppe!?
Costituzionalmente l’uomo è un grande costruttore di significati oltre che di nessi causali e non perde occasione per attribuire un significato a ogni evento. E’ la dote che ne fa un grande ideatore di miti e di teorie, ma è anche quella che lo spinge compulsivamente a dare un senso a tutto ciò che accade.
L’uomo chiama spesso male ciò che non corrisponde alle sue aspettative.
Noi percepiamo la scena visiva che abbiamo davanti, come un tutto unico, continuo e senza sorprese, ma in realtà non è proprio così. Tutti dati singoli non sono di per sé significativi e rappresentano solo altrettanti tasselli di un mosaico sensoriale del quale però noi percepiamo solo l’aspetto complessivo. Noi vediamo solo quando i nostri occhi sostano, nella fase detta di <<fissazione>>, e sulla base di queste visioni frammentarie ricostruiamo tutta la scena. In ogni caso, la nostra corteccia visiva mette insieme una scena partendo da una moltitudine di elementi dispersi.
Operando senza sosta e completamente inosservata, la nostra corteccia cerebrale riduce per noi nel giro di qualche decimo di secondo le sparse membra della realtà esterna e interna, componendole in un quadro unitario e per noi accettabile!
La malattia è certamente un fatto di natura, ma la considerazione e valutazione che le diamo noi uomini, sia a livello individuale che collettivo, non hanno uguali in natura.
Ciò che è vivo non può mai stare in quiete. Deve mutarsi e trasmutarsi continuamente, svilupparsi, crescere, maturare, invecchiare e morire. La necessità del cambiamento è insita nella natura del vivente.
La vita è un’isola di ordine, anche se provvisorio, in un oceano di disordine.
Da un certo punto di vista, il lungo periodo dell’invecchiamento ci prepara alla morte.
La grande, autentica immortalità gli uomini la raggiungono nella civiltà e nelle istituzioni, qualcuno anche nelle opere. Posso parlare con Platone e disputare con Tacito, posso gioire con Shakespeare e riflettere con Dante, posso riempirmi di bellezza con le opere di Piero della Francesca o di Mozart. Se non è immortalità questa!

Ciascuno di noi è nato per pensare ed essere pensato: questo è l’anello fondamentale della catena dell’essere e la fonte immediata di ogni energia vitale!

La reciprocità dell’interesse, che contiene anche quella più rara dell’amore, è uno dei tratti cardine di ogni vivente. Attraverso la combinazione di tutte queste reciprocità si stabilisce una rete con molti poli e infinite connessioni.
Uno dei punti fondamentali della nostra natura umana è che non possiamo accontentarci di vivere per vivere. Il prezzo della consapevolezza e della progettualità che possediamo in sommo grado è la capacità di mettere in relazione eventi diversi, talvolta lontani nello spazio e nel tempo. E mettere in relazione equivale a chiedersi perché e a che fine. Dato che non ci sono né un perché né un fine, la nostra mente riscontra una disparità e la nostra anima prova una delusione e un profondo disagio.
Fa una grande tenerezza pensare come ciascun essere umano si consideri quasi sempre un caso particolare. D’altra parte è destino degli esseri viventi, e in particolare di quei singolari viventi che sono gli esseri umani, di incarnare ciascuno un modello universale infinitamente ripetuto!
La scienza rettamente impiegata è libertà.
Ciascuno di noi nasce e cresce in una società che utilizza in ogni momento il denaro e viene condizionato; il motivo per cui ci pensiamo sempre e non ne possediamo mai a sufficienza è perché siamo costantemente impegnati nel fare progetti di ogni sorta.
Una delle strategie più sbagliate è quella di vedere colpe dove non ci sono; perché questo non è giusto in sé e, in secondo luogo, perché impedisce di vedere colpe, e responsabilità, laddove quelle sono effettivamente presenti.
Il male nelle cose deriva dalla posizione unica e unicamente scomoda in cui si trova la vita in generale e la vita umana in particolare.
Il male compiuto nel mondo nasce principalmente se non, da considerazioni di natura valutativa e comparativa.
Chi possiede valori veri, non li perde. Chi li perde vuol dire che non li aveva evidentemente fatti propri fino in fondo o li aveva addirittura presi, a prestito o in prova!
Ridurre l’imprevedibilità delle cose del mondo non può che avere un effetto positivo sulla nostra vita, sia che si tratti di eventi naturali sia di comportamenti. Pertanto un futuro più prevedibile è anche immancabilmente un futuro migliore.
Sapere che cosa vogliamo veramente non è impossibile. Occorre però concentrarsi e <<dialogare>> con una certa calma e con mente aperta con noi stessi. Occorre fare in sostanza un’opera di <<sfrondamento>> di tutti quei condizionamenti, più o meno superficiali che ci fanno credere che puntiamo a questo e a quello, anche quando non è vero.
Possiamo solo sperare che, tentando di integrare tutte le nostre istanze interiori (fisiche, psicologiche e culturali) si arrivi a contatto con un <<nocciolo>> che non si lascia ingannare, oppure si arrivi a denudarci di tutte le idee e le aspettative altrui proiettate su di noi. Difficile o difficilissimo che sia, sapere che cosa vogliamo veramente rappresenta una buona base anche per sapere come comportarci.
La nostra capacità di trovare una giustificazione per ogni nostro comportamento ci porta a commettere una grande quantità di piccole cattive azioni, di ingiustizie nella vita di tutti i giorni.
Lo sforzo per limitare e combattere l’ingiustizia tende sempre a introdurre un qualche altro piccolo o grande elemento di ingiustizia.
Se indirizzassimo sempre la nostra libertà verso il bene, essa assumerebbe piuttosto i tratti di una necessità naturale.
L’aggressività va di pari passo con la capacità di riconoscersi e trattarsi come individui, cosa che non si riscontra in tutte le specie.
La contraddizione nasce dove entra in campo un’esigenza di chiarezza e di univocità, cioè quando entriamo in campo noi e il nostro giudizio e soprattutto la nostra razionalità.
L’uomo è progetto, ma il progetto è una mancanza e non certo una pienezza.
Noi non viviamo in tempo reale, in sostanza, ma arriviamo sempre mezzo secondo dopo. Viviamo cronicamente di secondi pensieri e ci nutriamo di pietanze già parzialmente elaborate. La nostra coscienza è sempre in ritardo su quanto accade, ma è anche l’unica nostra via d’accesso alle cose del mondo. E’ il nostro modo di visionare la realtà o, meglio, quello che ne è della realtà dopo l’abilissima operazione di montaggio cinematografico operata dalla corteccia cerebrale.
Tuttavia, in condizioni normali il più del tempo lo possiamo con noi stessi a recepire e centellinare il continuo, silenzioso zampillare dei microeventi del nostro mondo interiore. Ed è questo ciò che ci accompagna ogni giorno e che ci fa essere mediamente annoiati e cronicamente delusi; che ci porta a trasgredire; che ci rende irrequieti e ci spinge al cambiamento; che ci fa sperare nei miracoli o nelle più terrene rivoluzioni.
Se le società cambiano senza sosta, è essenzialmente per questo; per la nostra incapacità di stare quieti e di giacere oziosi e a bell’agio.
Noi siamo l’incontro di passato e avvenire, di constatazioni e progetti, di raccoglimento e di proiezione. Il nostro io è la culla e il teatro del divenire!

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