lunedì 30 maggio 2011

I nostri antenati

Ogni incontro di due esseri al mondo è uno sbranarsi.
Fare insieme buone azioni è l’unico modo per amarci!
Il Barone rampante.
Il barone nostro padre era un uomo noioso: noioso perché la sua vita era dominata dai pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L’agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno d’agitarsi anche loro, ma tutto all’incontrario, fuori strada.
Le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente onesta c’è e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di veder l’altra faccia della gente).
Il Cavaliere inesistente.
Ancora confuso era lo stato delle cose del mondo. Non era raro imbattersi in nomi e pensieri e forme e istituzioni cui non corrispondeva nulla d’esistente. E d’altra parte il mondo pullulava di oggetti e facoltà e persone che non avevano nome né distinzione dal resto. Era un’epoca in cui la volontà e l’ostinazione d’esserci, di marcare un’impronta, di fare attrito con tutto ciò che c’è, non veniva usata interamente. E quindi una certa quantità ne andava persa nel vuoto. Poteva pure darsi che in un punto questa volontà e coscienza di sé, così diluita, si condensasse, facesse grumo, e questo groppo, per caso o per istinto, s’imbattesse in un nome.
Tutto è zuppa! Un dubbio: che quell’uomo avesse ragione e il mondo non fosse altro che un’un immensa minestra senza forma in cui tutto si sfaceva e tingeva di sé ogni altra cosa!?
L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla (poco) che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio nulla!
Ogni cosa si muove nella liscia pagina senza che nulla se ne veda, senza che nulla cambi sulla sua superficie, come in fondo tutto si muove e nulla cambia nella rugosa crosta del mondo, perché c’è solo una distesa della medesima materia, proprio come il foglio su cui scrivo, una distesa che si contrae e raggruma in forme e consistenze diverse e in varie sfumature di colori, ma che può pur tuttavia figurarsi spalmata su di una superficie piana. Alle volte pare che si muova, ossia ci sono dei cambiamenti di rapporti tra le varie qualità distribuite nella distesa materia uniforme intorno, senza che nulla sostanzialmente si sposti: le pigne cadono dal ramo, i rii scorrono tra i ciottoli, i pesci nuotano nei rii, i bruchi rodono le foglie, le tartarughe arrancano, ma è soltanto un illusione di movimento, un perpetuo volgersi e rivolgersi come l’acqua delle onde, mere escrescenze della crosta del mondo. Bisognerebbe che ci fosse sulla superficie uniforme un leggerissimo affiorare, come si può ottenere rigando dal di sotto il foglio con uno spillo, e quest’affiorare, questo tendere fosse però sempre carico e intriso della generale pasta del mondo e proprio lì fosse il senso e la bellezza e il dolore, e lì il vero attrito e movimento.

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