mercoledì 22 febbraio 2012

Il Processo Di Tolosa

Non v'era un divario assoluto e abissale tra mito e verità. Forse la verità assoluta era conosciuta soltanto da Dio, perché la mente dell'uomo era mitica per natura, e trasformava in leggenda tutto ciò che passava attraverso di essa.

Alla fine dello spettacolo il magicien aveva detto sorridendo che la realtà non era che un immenso teatro di illusioni, apparenze e finzioni. Il mondo che noi toccavamo, vedevamo, udivamo, non era la vera realtà, la sostanza autentica dell'Essere, ma soltanto una sua simulazione approssimata. La realtà quotidiana andava bene soltanto per i nostri sensi imperfetti.
Se gli occhi e la mente di Louis avevano accettato i portenti del mago, voleva dire che l'Illusione e l'Apparenza erano veramente le signore del mondo, e che tutti gli uomini erano soggetti al loro dominio...

Il processo della Resurrezione era miracoloso, ma in pari tempo anche naturale, e rientrava nel corpus delle leggi fisiche.

«Perché i fenomeni di radiazione sono proprio quelli che permettono di capire l'essenza della materia.»
«La materia è fatta di vibrazioni, di luce, di elettricità, di flussi di energia. È una rete sterminata di campi elettromagnetici infinitamente piccoli, ossia gli atomi.»
la Resurrezione era un momento chiave della realtà, in cui si risvegliava di colpo l'energia che dormiva all'interno della materia.

Ognuno poteva scoprire tutto quello che voleva nell'intimo, perché la mente di un uomo era grande come l'intiero pianeta! In essa v'erano pianure, deserti, montagne, laghi, grotte, miniere, in cui si finiva per rintracciare tutto ciò che si cercava...

In un'età in cui il mito dominante è quello di dissolvere i miti arcaici, solo la tragedia incommensurabile della loro perdita può essere il tema della tragedia. (Giuseppe Pontiggia)

La favola indiana del velo di Maia. La dea Maia aveva circondato con il suo mantello tutte le cose del mondo, e ciò che si vedeva era come un immenso fondale di teatro, carico di cose piacevoli, da cui gli uomini erano attratti come i bambini dal Luna Park.
Però il mondo, così come appariva agli uomini, appunto, non era la vera realtà. Il mondo era un'infinita serie di paesaggi dipinti da Maia. Ma al di là del suo velo e della sua grazia c'era la sostanza autentica del reale, che nessuno poteva conoscere fino in fondo. Il mondo non era che apparenza, la quale nascondeva una sostanza misteriosa.
Tutto in natura, la pioggia, la neve, il vento, i fiori, le donne, era splendido, ma inconsistente. Non era la sostanza vera dell'Essere. Tutto era dipinto sopra il mantello di Maia, come sopra un arazzo o un tappeto senza fine; anche lui, condannato a morte, giustiziato e resuscitato, apparteneva al disegno del tappeto, ed era soltanto l'ombra di un miraggio e di un sogno.

Tutto è sostenibile a questo mondo, quando non si sanno le cose!

Un'idea cominciò a prendere forma lentamente, dentro di lui.
Non era una riflessione qualunque e quotidiana. Era di quelle che sembrano nascere fuori della nostra persona, attraversare la mente, e poi andare oltre e lontano perché infinitamente più vaste di noi. Pensò che l'amore tra lui ed Irene non era soltanto se stesso, ma molto di più. Esso infatti gli aveva fornito notizie sicure sulla sostanza più profonda dell'Essere, come fosse arrivato dalle estreme periferie dell'universo. Aveva capito che nell'amore la vita svelava il suo aspetto più importante. Nella parete buia del reale si apriva un pertugio, una finestrella, e attraverso di essi si riusciva a capire qualcosa dell'enigma sterminato dell'universo. Gli uomini e le donne si attiravano gli uni con gli altri, con tanta forza che essa acquistava il volto di una rivelazione. L'Essere non era assurdo e senza motivazioni, come dicevano i filosofi del suo tempo. La vita voleva la continuazione di sé, aveva uno scopo, mostrava una direzione. Con questo cessava di essere del tutto enigmatica e priva di senso. L'amore era per gli uomini una sorta di rivelazione.
Lo studio della storia metteva in evidenza e spiegava gli arcani di Dio. Sempre più egli si convinceva che il Creatore non era come un Imperatore antico, che pretendeva l'omaggio servile della gente, ma piuttosto uno sterminato Illusionista, che aveva disseminato tutta la storia dei suoi misteri, di cui poi cancellava le tracce e i segni più evidenti. Spettava quindi agli uomini ritrovarli, agli storici come lui, che era per metà un ricercatore e per metà un solutore di enigmi, e sentiva il mondo come un infinito poema di segni e di crittografie.
tracce importantissime della grande sciarada predisposta dal Padre Eterno... Tutta la storia era un progressivo avvicinamento agli indovinelli allestiti da Dio. Essi erano cominciati con la nascita stessa dell'universo. Il mondo e la materia che lo componeva era innanzitutto una serie di enigmi.
la materia era la Grande Calunniata. Era sempre stata creduta, fin dall'antichità, una sostanza opposta allo spirito, mentre ne era l'alleata e la sorella di latte. Aveva ragione Teilhard de Chardin, il gesuita proibito, a chiamarla "santa materia", perché essa non era qualcosa di inerte e di passivo, come credeva la gente, ma quanto di più vivo si potesse pensare. Era una rete di campi elettrici, infinitamente piccoli, creati da particelle di carica positiva o negativa, i protoni e gli elettroni. Ma i "campi" non erano materia e le cariche elettriche, più che pensabili come massa, lo erano come energia. Perciò la materia non era quella concepita dai materialisti, ma la Grande Sconosciuta, che infinite schiere di studiosi e di scienziati si sforzavano d'investigare e di capire, senza riuscirci minimamente.

Credere di conoscere le cose e i fenomeni soltanto perché si era dato loro un nome era una grande illusione degli uomini.

Questo nominalismo della materia, scoperto inaspettatamente, lo vendicava di quello medioevale, che aveva distrutto la sostanzialità del mondo spirituale e ne aveva negato la dimensione. Da allora era cominciato lo "spaccio della bestia trionfante", la metafisica materialistica, che percorreva il mondo intiero,"Materia" era un puro nome. "Protone" era soltanto una parola. "Gravità" era soltanto un insieme di vocali e consonanti. Nuclei ed elettroni erano flatus vocis, e nessuno li aveva mai visti. Anche lì c'era la ridda, il gran ballo delle metafore, le maschere barocche, che rientravano nella dimensione illusoria del velo di Maia...
Nelle nicchie più nascoste della scienza moderna, e soprattutto nelle ricerche dei fisici, era spuntato come un gigantesco fungo magico, un sistema di nozioni che metteva in crisi profondissima il concetto medesimo di materia.
La materia non era una sostanza densa, continua, eterna, che non si poteva né creare né distruggere, ma soltanto trasformare. Ciò che si supponeva pieno, non era affatto tale, ma era un vuoto che di pieno aveva soltanto l'aspetto, forse soltanto per effetto di un movimento vorticoso di particelle. Ciò che pareva un continuum, era in realtà un va-cuum, che si travestiva, diventava un pieno per effetto di un incantesimo incredibile e strabiliante. Nella realtà, così com'era veramente, l'uomo non sarebbe potuto vivere, perché i suoi sensi non avrebbero potuto nemmeno registrarla, se non in forme parziali e diverse. Un flusso di fotoni diventava la luce, e uno di elettroni diventava energia elettrica. Un'agitazione di molecole e di atomi si trasformava in calore, trasmissibile a immense distanze. L'uomo non era una valvola, o un trasformatore, era un essere che aveva sentimenti e pensieri, e poteva vivere soltanto in un ambiente illusorio, ma adatto al suo modo di sentire. Perciò il velo di Maia non era un inganno di Dio, ma un mezzo della sua pietà, necessario per rendere il mondo abitabile ed umano.
Erano in molti a pensare all'Aspettato, a Colui che sarebbe venuto, a questa specie di Messia indefinito, privo di un significato preciso, e questo fatto dava al bambino, ancora in mente Dei, una consistenza particolare, come se egli, benché non esistesse, avesse già nel mondo un suo luogo particolare, e una sorta d'ombra o di proiezione, che già preludeva a Lui.
Cominciò a pensare che un Vangelo, ossia una buona notizia, che venisse dal lato invisibile dell'universo non poteva, per sua natura, essere qualcosa dotato di filologica precisione, ma piuttosto ambiguo e polivalente.

Che strano potere aveva l'oro, per agire sullo spirito, anche quando questo era perfettamente consapevole dell'inganno? Le anime degli uomini, dunque, erano predisposte ad ospitare il grande inganno del velo di Maia, anche quando questo non era se stesso, ma soltanto la sua imitazione?

Il mondo era una sterminata illusione, perché fingeva di esserci, e invece non c'era; era soltanto una sintesi di energia misteriosa, organizzata nel modo più impensabile e fantastico.

Ma illusione o no, in cima alle cose desiderate v'era lei, Irene, la selvatica, la montenegrina, che Dio aveva inventato per consolare la sua solitudine, e perché gli fosse evitato di aggirarsi come una trottola nel labirinto del mondo. Era un'apparenza, ma un'apparenza straordinaria, dotata di ogni splendore, che per gli uomini, i quali vivevano nello spazio e nel tempo, era tutto ciò che i loro sensi potevano scoprire nel reale e a cui affezionarsi e aggrapparsi. Per i poveri uomini l'apparenza era l'unica sostanza; ciò che v'era sotto di essa apparteneva alla dimensione metafisica, anche questa di estrema importanza, e senza la quale la vita dello spirito e l'etica erano impossibili.
L'idea e la convinzione della vera sostanza della materia era entrata nella parte più intima del suo animo, ossia in quella che i francesi chiamano "le moi profond".
Si è veramente convinti di qualcosa soltanto quando la convinzione si sposta dal territorio della ragione a quello dell'inconscio, pur continuando a restare dov'era.

Il punto più alto dell'inventiva di Dio era quello di esser riuscito a darci l'illusione della consistenza della materia, facendo girare alcune centinaia di trilioni di volte al secondo un nulla, ossia gli elettroni, attorno ad altri nulla, chiamati protoni. Quale messaggio più grande avrebbe potuto inviare di sé? Quale notizia più sorprendente?

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