sabato 8 gennaio 2011

Il circolo Swedenborg

Era tutto un sogno?Lo era e non lo era, perché il ragazzo aveva coscienza di essere ancora sveglio, e di trovarsi in quello stato per effetto del fungo usato in tempi antichissimi da sibille e sciamani. Poi lentamente ogni cosa scomparve, ed Ermete pian piano fu ripreso dal sonno profondo della sua giovinezza.
Il mare era sul nostro pianeta l’elemento più idoneo a suggerire il senso dell’infinito.
Si mise a leggere un’antologia di frammenti degli amati filosofi antichi. Si trattava di neoplatonici. A lui piacevano perché si erano inventati un mondo tutto personale, astratto, in cui la vera realtà era lo spirito e i suoi modi di manifestarsi, mentre la materia veniva collocata all’ultimo posto nella scala dell’Essere. S’immerse nella lettura ed entrò come in un’altra dimensione.
Lesse un libro sugli archetipi, rendendosi conto che ve n’erano di ogni possibile natura. Tutta l’attività di pensiero degli uomini si svolgeva per passaggi obbligati di cui neppure si accorgevano. Spesso aveva l’impressione di aver immaginato qualcosa di nuovo, e invece non faceva che ripercorrere archetipi antichi o antichissimi. Si fece l’idea che i suoi simili, come lui stesso, non erano se non una sorta di automi viventi, mossi da fili lunghissimi, che partivano da loro e arrivavano incredibilmente lontano, non tanto nello spazio quanto piuttosto nel tempo.
I bogumili, ossia monaci vagabondi considerati eretici dalla Chiesa orientale, erano nomadi come zingari, e vivevano per intero di carità. Giravano il mondo assorti dentro una forma di astrazione mistica, come se le cose del reale non fossero se non fenomeni che arrivavano a nascondere l’essenza delle cose, tutta mentale e senza peso.
I bogumili erano convinti che Dio avesse creato gli spiriti e il diavolo, la materia. Ma, poiché le cose non stavano in quel modo, non occorreva essere così radicali e pessimisti con la povera materia, giacché era più un’illusione che una realtà.
Quei posti, con le campagne tutte lavorate, le file dei gelsi con foglie di un verde intenso e scuro, li riscopriva dentro di sé, nei meandri di un inconscio ereditario collettivo. Una volta gli venne meno all’improvviso la consueta capacità di vedere il mondo, che diventò nel suo pensiero qualcosa di diverso, come fosse sparito un velo che copriva le cose. Gli vennero in mente pensieri strani. I colori degli alberi, dei prati delle montagne o dei quadri non avevano sostanza. Erano soltanto vibrazioni diverse di qualcosa che non si conosceva. Non era l’etere, che secondo gli antichi riempiva ogni spazio vuoto, perché non esisteva una sostanza simile. Era dunque una vibrazione del nulla?O la luce era fatta veramente di fotoni?Si parlava dell’una e dell’altra teoria, e pareva che non si escludessero a vicenda, ma si potessero fondere insieme, perché per certi lati sembrava che la Realtà non seguisse affatto la logica.
Lo attiravano, come sempre, i problemi metafisici, quelli che parlavano delle questioni di fondo dell’Essere, perché di esse possedeva un sentimento vastissimo e intenso: sentiva profondamente di far parte del sistema infinito del Reale.
Tutto ciò che egli era, veniva da spazi e tempi infinitamente lontani, nella sconfinata storia dell’universo, che era cominciata chissà dove e chissà quando. Lui non era soltanto Ermete Lunati Eudoxios, perché come tutti veniva da entità e forze vertiginosamente remote, da infinite generazioni del passato, da mutamenti e trasformazioni arcanamente numerose della Vita. La vita stessa era un quid estremamente enigmatico e creativo. Perciò lui, come tutti, veniva anche dalle stelle, e la sua coscienza e il senso morale avevano la medesima origine. Venivano dal caos, dalla nebulosa primitiva, che poi era qualcosa di simile al niente, perché la materia quasi non esisteva, e la sua vera sostanza era l’energia.
Il mondo era un gran mistero, anzi una stratificazione infinita di enigmi. Ma, all’interno di questo arcano, vi era qualcosa di chiaro e di facilmente interpretabile, ossia il fatto che la natura voleva che il genere femminile e quello maschile si attirassero.
Lo sciopero era una sfilata, come altre mille che l’avevano preceduta nel tempo, in un numero sterminato di luoghi, era fatto da uno straterello insignificante di realtà e da una gigantesca illusione. Gli operai gli parvero tutti essere frastornati, illusi, che scambiavano avvenimenti da nulla per eventi fondamentali. Come fossero bambini che recitassero una favola sopra il tavolato scenico di una scuola elementare. E anche lui in qualche modo era simile a loro, perché lui pure era venuto al mondo, recitava la sua parte. Per differenti che fossero, i destini degli uomini si somigliavano tutti nei punti essenziali.
Da cosa nascevano simpatia e antipatia?Forse ognuno di noi emanava qualcosa di enigmatico, delle onde imprecisate, forse simili a quelle hertziane, o della luce, o dei materiali radioattivi che erano registrate altrettanto enigmaticamente da coloro che ci stavano vicini. La realtà era, infatti, costituita da elementi simili ai flussi di luce, o di elettricità, o di ioni, o di onde e raggi di ogni tipo, e d’infiniti campi magnetici ed elettromagnetici.
La ragione non era tutto per l’uomo. Era uno degli strumenti fondamentali per condurre avanti il pesante fardello della vita e della storia. Uno dei grandi cavalli che tiravano il carro dell’umanità per strade terribilmente accidentate; ma v’erano,oltre alla ragione,anche l’istinto,gli archetipi del pensiero,le intuizioni,le illuminazioni improvvise,che venivano da chissà quale sconosciuto territorio del reale. Di solito si pensava alla ragione come a un’entità che avesse una sua autonomia. E invece non era che un prodotto del cervello,che la natura aveva elaborato nel corso di milioni e milioni di anni. Gli uomini avrebbero fatto qualunque cosa per allontanarsi dalla natura, per affermare una loro indipendenza e proclamare l’autonomia della ragione rispetto a ogni altro aspetto dell’attività spirituale della specie. I nostri simili nuotavano controcorrente perché la corrente, il flusso eterno delle cose, li risucchiava. Essi non erano che anelli di una catena sterminata, momenti infiniti di un processo di eterna trasformazione dell’Essere.
Bisognava tornare a una concezione armonica dell’universo in rapporto all’uomo, microcosmo inserito nel cosmo infinito. Il grande guaio dei tempi era che l’uomo moderno si sentiva in conflitto nei confronti dell’Essere in generale. Faceva di tutto per incrementare le dissonanze piuttosto che la simpatia. Ognuno suonava uno strumento per conto proprio, e il risultato era un disaccordo universale.
Era possibile conoscere se stessi?In certo modo sì, perché nel fondo di noi, in una caverna ipogea, dormono un sonno leggero pensieri e sentimenti che poi certi libri risvegliano.
Era però sempre una conoscenza iniziale, parziale, perché non si poteva raggiungere il fondo di se stessi; riuscire a farlo sarebbe stato come risalire il corso sterminato degli avvenimenti dell’intero universo. Vi era un rapporto diretto tra l’io e il mondo. E l’io riusciva a capire un po’ meglio se stesso quando si collocava nel grande mare dell’Essere,di cui era un frammento infinitamente trascurabile che non ha né principio né fine. Il reale conosceva se stesso nel pensiero e nei sentimenti dell’uomo, e l’uomo a sua volta intuiva qualcosa di sé soltanto se si collocava dentro la cornice sterminata dell’Essere. L’uomo poteva sapere qualcosa di sé soltanto se riusciva a unire il suo pensiero a dimensioni sconfinate. Lui entrava nell’universo e l’universo entrava in lui.
Cos’era la realtà?Se si leggevano i libri dei fisici moderni, si scopriva che l’universo era fatto di energie cosmiche, di luce, di campi, di forze elettromagnetiche, di gravità, di onde, di raggi visibili e invisibili. Era fatto di materie inconsistenti, prive della sostanza concreta da noi percepita, la quale era soltanto apparenza.
Aveva destato in’idea tuttora viva dentro di lui, ossia che tutto quello che gli uomini facevano avessero risonanze vastissime. E noi stessi siamo raggiunti dalle onde che sempre si generano da uomini e cose sulla Terra. Siamo sempre al centro di un campo magnetico sterminato, la Realtà non è che un infinito insieme di campi magnetici di ogni dimensione. Tutto è in relazione con tutto, e ogni cosa influisce sulle altre, perché attraversata dallo spirito dell’Essere.
Chi siano veramente i teosofi è difficile dirlo. Probabilmente sono persone insoddisfatte delle strutture tutte razionali e geometriche della cultura occidentale. Sentono la perfetta simmetria di causa ed effetti e la logica conclusa e meccanica nell’interpretazione del mondo come una sorta di prigione.
Si poteva comunicare a distanza, o intuire fatti lontanissimi, senza telefoni o cellulari, ma soltanto con facoltà che appartenevano alla sfera del pensiero e delle sensazioni. Si trattava solo di realizzarle e di svilupparle. Un tempo lontanissimo anche gli uomini possedevano facoltà di quel genere, però non se ne servivano più, perché usavano strumenti forniti dalla tecnica. Le avevano lasciate perdere, ed esse si erano atrofizzate e inaridite. Erano versanti sconosciuti dell’intelletto, possibilità dell’intuizione e dell’istinto che andavano recuperate. Con l’avvento dello sviluppo qualcosa era andato perduto tra gli uomini. E la perdita continuava: scrittori, filosofi e sociologi parlavano di un tramonto dell’Occidente, che si fondava soltanto sulla scienza, la tecnologia, la razionalità e la negazione dello spirito e del mistero.
Era la teoria degli archetipi. Anche le tipologie fisiche degli individui, uomini o donne che fossero, erano sovrastate dai modelli eterni.
Cabral sfornava strane ipostesi ontologiche, per esempio che il futuro già esistesse, che il tempo fosse regressivo e scorresse dal futuro al passato. Sostenne che per certi fisici, come l’americano Brian Green, la direzione del tempo era stata decisa in pochi milionesimi di secondo dopo il Bing Bang. Era affascinato dal tema dell’infinito, nella convinzione di fondo che la realtà fosse contraddittoria. Era sedotto dall’idea che vi fosse una specie di luogotenente di Dio, un Eone neoplatonico, plotiniano, un’entità onnipotente, che permeava di sé la realtà intera. Citava Giordano Bruno, perché era un neoplatonico panteista, ossia credeva che Dio stesse dentro il Reale Spiritus intus alit.
Sono numerosi i particolari del reale che possono svegliare nel nostro inconscio, suggestioni di vario tipo, perché siamo depositari di esperienze d’infinite generazioni.
La materia era soltanto fenomeno. In pratica era vuota. Era piena per una parte espressa dal numero zero seguito da una virgola, una serie di zeri e infine un sette. Soltanto le particelle erano materia vera e propria; il resto erano soltanto energie prive di massa, campi magnetici. Perciò l’universo poteva essere visto come l’immenso volto di Dio; così lo intendevano i teosofi e gli spiritualisti.
Ermete argomentò che quando gli uomini ritenevano di possedere un’anima spesso avevano comportamenti più nobili e gentili, perché modellati dai loro archetipi interiori. Le parole avevano l’effetto di dare sostanza alle cose e ai concetti cui si riferivano. Da quando avevano cessato invece di credere nell’anima, pensando di essere soltanto il prodotto dell’evoluzione casuale di animali inferiori, erano risucchiati da una barbarie ancestrale, e si comportavano come le bestie da cui discendevano. Anzi molto peggio.

Nessun commento:

Posta un commento